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Monday 24 August 2009 |
Mafia pontina, "quel prete ucciso che attende ancora giustizia" |
Don Cesare Boschin nel 1995 fu incaprettato a Borgo Montello. Don Ciotti: "Fu una vendetta mafiosa, riaprire l'inchiesta". |
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don luigi ciotti |
Fondi: "La questione del Comune di Fondi è una questione nazionale dove è in gioco la credibilità e la coerenza del nostro paese. La prima mafia da combattere é quella delle parole, perché a parole ci sono sempre tutti. Il problema è dare coerenza tra quello che è stato scritto sul pacchetto sicurezza e la concretizzazione della realtà ". |
Luigi Ciotti, presidente di Libera, associazioni, commenta così la questione del mancato scioglimento del comune di Fondi .
"Da oltre un anno come Libera - prosegue Luigi Ciotti - parliamo di quinta mafia, un intreccio che unisce cosche, pezzi della politica, colletti bianchi ed imprenditoria e Fondi rappresenta la snodo di questi interessi. Sin dal 1996 il pentito di camorra Carmine Schiavone verbalizzava ai carabinieri con nomi e cognomi l'interesse dei casalesi sull'agro pontino come ponte per la capitale. Non possiamo più parlare di tentativi di infiltrazione. Dobbiamo dare risposte responsabili e coerenti - prosegue - al grande lavoro della magistratura e delle forze dell'ordine che ha portato ad arresti di persone di grande calibro ma ha anche evidenziato la necessità di creare la legge-quadro per la lotta alle mafie e di riordinare tutta la materia sulla confisca dei beni alla mafia per rendere la lotta più efficace'".
Nel rispetto della memoria e dell'impegno il presidente di Libera ricorda anche l'uccisione del parroco Don Cesare Boschin, che denunciava a Latina l'ecomafia dei rifiuti e che non ha mai visto consegnare alla giustizia i colpevoli: " Chiediamo che si riapra l'inchiesta sulla sua morte, lo dobbiamo alla sua storia, alla sua memoria e ai tanti che nel suo nome proseguono in quel territorio le sue battaglie e le sue denunce".
[Virgilio.it]
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LA STORIA/ Don Cesare Boschin che aspetta ancora di avere giustizia
Il problema è che don Cesare sapeva tutto. Arrivato a Borgo Montello, frazione di Latina, negli anni cinquanta dal Veneto, era un prete di quelli che scambiano la strada per la chiesa e nella strada trovano le omelie più giuste per la domenica. Per questo, perché glielo diceva la strada, don Cesare Boschin pochi giorni prima del 30 marzo 1995 era andato a trovare il capitano dei carabinieri. E avevano parlato a lungo delle cose strane che stavano accadendo intorno e accanto alla discarica: carichi notturni, via vai di camion, cattivi odori.
Troppo tardi. O troppo presto. Perché la mattina del 30 marzo 1995 don Cesare, 81 anni, fu trovato nel suo letto in canonica massacrato di botte, incaprettato, il cerotto sulla bocca. Un assassinio di violenza inaudita liquidato lì per lì come una rapina di balordi, forse polacchi. Poi soffiò la calunnia, «una vendetta maturata in ambienti gay»: fa così la mafia quando vuol confondere le idee e depistare. Di quella storia, infatti, per anni non si è saputo più nulla a parte qualche temerario locale come Elvio Di Cesare, presidente dell'associazione Caponnetto-Lazio, che ha continuato a cercare e scavare. Oggi la morte di don Cesare Boschin diventa un capitolo della complessa vicenda delle infiltrazioni di mafia nel sud del Lazio. Don Ciotti e Libera chiedono la riapertura dell'inchiesta collegandola «a una vendetta da parte delle ecomafie».
Scrivono i pm della Dda di Roma Diana De Martino e Francesco Curcio, titolari delle inchieste Damasco 1 e 2 che hanno portato in carcere mezza amministrazione comunale di Fondi con l'accusa di essere collusa con gli interessi delle 'ndrine calabresi e dei clan di camorra attivi nell'Agro Pontino: «Nella stragrande maggioranza dei casi si è proceduto da parte delle diverse autorità giudiziarie di questo distretto (Latina ndr. ) rubricando la massa dei fatti oggetto di indagine - in realtà di stampo mafioso - in fatti di criminalità comune». Quattordici anni dopo il dossier di don Cesare torna nell'agenda della cronaca.
L'associazione «Articolo 21» - ospite della giornata della legalità organizzata ieri dal Pd nella piazza di Fondi, comune infiltrato che il governo non vuole sciogliere - ha ricordato come già nel 1996 Carmine Schiavone, cassiere dei cartelli casalesi, avesse spiegato gli interessi dei clan di camorra e delle 'ndrine calabresi sul basso Lazio, droga, rifiuti, appalti, la politica. Schiavone raccontò la spartizione degli affari città per città . A Fondi c'erano i Tripodo, delle nota famiglia di 'ndrangheta: «Si occupavano di stupefacenti, noi gli davamo dai 15 ai 30 kg al mese di cocaina». I fratelli Tripodo sono i protagonisti delle inchieste Damasco e la chiave per capire la capacità di infiltrazione della mafia nel territorio dell'Agro Pontino.
E si torna a don Cesare, alle ecomafie e al movente del suo assassinio. Don Cesare sapeva che in quei mesi del '95 nella discarica di Borgo Montello arrivavano di notte camion carichi di fusti di rifiuti. Glielo dicevano le persone che incontrava per strada. Glielo dicevano le mamme i cui figli guadagnavano «500mila lire a viaggio». Da dove? Allora navigavano lungo le coste italiane navi zeppe di rifiuti tossici. Non le voleva nessuno, per un po' furono ormeggiate a Livorno. Solo anni dopo furono trovate bolle che testimoniavano che quei camion si muovevano lungo la tratta Livorno-Borgo Montello-Caserta. Solo oggi la Regione Lazio ha dato ordine di verificare cosa c'è sotto «S-zero», la parte dismessa della discarica di Borgo Montello. L'Arpa ha sentenziato in questi giorni: ci sono fusti tossici, a centinaia. Quelli di cui parlava don Cesare con il capitano dei carabinieri pochi giorni prima di morire.
[Claudia Fusani, L'Unità ] |
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postato da: mn |
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